È sempre una questione personale

Un gruppo di giovani stretti fianco a fianco per entrare meglio nell’inquadratura.
Una di loro ha il microfono in mano: «…è per questo motivo che noi ricercatori seguiremo il ministro in tutti i suoi impegni. Lo seguiremo finché non vorrà incontrarci e non vorrà ascoltare le nostre ragioni».
Il flusso video si interrompe. L’interfaccia del programma di montaggio passa dalla modalità anteprima a quella di editing.
Davanti allo schermo, nella sala di montaggio, ci sono Fernando Tancredi e Salvatore De Blasio.


« Hai capito Salvato’? Chisti guadagnano duemila euro al mese e si lamentano pure… ma va fa mocca… e a me che mi danno 5 euro ad articolo e 10 a video che dovrei dire? Ma a te giustamente che te ne fotte, che stai a tempo indeterminato… va fa ‘mocca pure tu Salvato’…»
« Mo me le segno Fernà… ca aggia fà co sto servizio?»
« Sta buono a cussì; esportalo. A che ora la pubblicano sta munnezza?»
« Boh, prima devono pubblicare quello della Santini.»
« Il pezzo sul nuovo piano regolatore?»
« Sì. Ma mo pensiamo alle cose serie: vieni a casa vedere a partita cchiù tarde?»
« Nun ‘o sacce… »
Fernando si solleva dalla sedia e si accorge di suo nipote, il quattordicenne Alessio, che lo sta rimprendendo con la piccola videocamera che gli ha regalato Salvatore.
« E tu staje nata vota cu chella cosà in mano?»
« Voglio fare pratica zì…»
Il montatore e video-operatore si rivolge all’amico giornalista con tono di bonario sfottimento, come da abitudine fra loro due: « Hai sentito Fernà? C’avete il regista in famiglia…»
« Eh, infatti grazie pe chisto bello regalo Salvatò, ci mancava proprio n’ato disoccupato rinto casa. – Poi si rivolge al nipote – Iamm Sorrenti’…»
Alessio inquadra Salvatore, stringe tantissimo con lo zoom fino a quasi vedere i suoi pori, e poi torna indietro a inquadrare l’intera sala montaggio; gli smartphone, che finora ha usato per registrare i video, sono privi di zoom ottico, e a lui non pare vero poter mantenere la stessa qualità pur zommando. Se si muove in senso contrario a quello dello zoom può ricreare l’effetto vertigo come in quel tutorial che ha visto su Youtube.
« Ciao Salvato’, grazie della fotocamera».
« Ciao piccerè».

L’obiettivo di Alessio segue lo zio Fernando uscire dallo studio di Salvatore e dirigersi verso l’automobile, poi stringe sul dettaglio della sua mano che apre lo sportello.
Un uomo di colore si avvicina a Fernando.
« Tu dottore giornalista Fernando?»
« Lascia fottere il dottore, e pure il giornalista… che ti serve?»
« Adebayo detto cercare a te, tu bravo».
« Ah… è chillu guaglione ca va a giro a vendere cazettini no? Be’ digli che è nu strunz… guarda a ca…»
Fernando solleva una gamba del pantalone mostrando la caviglia.
« Cinque euro e s’è già scassata ‘a molla… a’ primma vota ca ‘e teng’…»
« Tu ci devi aiutare».
« Che è successo?»
« Al campo trovato pistola, no mia…»
« E che vuoi da me? Chiama la polizia…»
« No polizia, non buono per me. Prima tu scrivi che io non c’entro, poi chiamo polizia».
« Come ti chiami?»
« Ekon».
« Senti Ekon, ma niente niente m’avisse pijato pe’ Saviano? Io scrivo quattro strunzate che succedono ncoppa ‘o rione. Mi dispiace, non posso aiutarti».
Alessio inquadra prima Ekon che si allontana di spalle, lentamente e con un’andatura zoppicante, poi con un movimento a schiaffo va sul volto dello zio, cupo.
« Che c’è zio?»
Chiede Alessio, ma Fernando non gli risponde. Abbassa il finestrino e urla a a Ekon se vuole un passaggio.

Una piccola baraccopoli a cui si accede attraverso una strada sterrata, delimitata a nord da un fossato, oltre il quale ci sono i capannoni dell’area industriale. Questo il quartiere fantasma in cui vivono molti braccianti dei campi di pomodori della zona.
Ekon scende dall’auto e raggiunge un ragazzo.
Alessio chiede allo zio: « Zio ma qua ci abita la gente?
« Eh… questa è pure piccola, ce ne sono di molto più grandi, in cui vivono pure mille persone».
« Ma perché stanno qua?»
« A’ ro’ anna ji’? Sono braccianti agricoli, pagati una miseria, molti non hanno nemmeno documenti, praticamente non esistono… però esiste il loro lavoro, la frutta e la verdura ‘ncoppa tavula e’ casa, quella sì…»
Il ragazzo che stava parlando con Ekon si avvicina all’auto e bussa al finestrino.
« Ciao, io sono Marco, un volontario dell’associazione “Mai più schiavi”. Tu devi essere il giornalista…»
Fernando, che intanto ha abbasato il cristallo, gli porge la mano.
« Piacere Fernando… guarda… l’ho solo accompagnato, io non so come aiutarvi, bisogna solo fare denuncia…»
« Sì lo so, ma Ekon si è fissato… senti; facimme nu poche e teatro. Tu scendi, fai che guardi, scatti due foto, e magari si tranquillizza, e si decide a chiamare la polizia».
Fernando sospira.
« Eh va bbuò…»

Fernando e Marco camminano nella baraccopoli, seguiti dall’obiettivo di Alessio.
« Ma l’ha toccata sta pistola?»
Chiede Fernando.
« No no, per fortuna no… »
« Buono a cussì, che potrebbe essere l’arma di qualche delitto. A’ ro’ sta?»
« Cca. Tra queste due baracche».
Alessio inquadra un revolver avvolto parzialmente in uno straccio. Poco distanti, ammassati, frammenti di cassette di legno.
« Ekon è venuto a prendere la legna per accendere il fuoco, ha visto sto straccio che non conosceva, lo ha aperto e ha visto la pistola».
« Qua sta solo lui?»
« Da oggi sì. I compagni suoi sono partiti stamattina per una raccolta eccezionale in Calabria, tornano tra due giorni. A lui non lo hanno preso perché si è fatto male al piede e zoppica».
« Escludi che è di qualche compagno suo?»
« Sì. Non l’avrebbero mai lasciata qui, se la sarebbero tenuta dentro la baracca. Qua l’ha messa qualcuno di esterno. Ha visto ste cassette rotte e ha pensato che era munnezza, che nessuno ci andava a sfruculiare…»
Alessio fa un primissimo piano del volto pensieroso dello zio.
« Aggia controlla’ na cosa…»
Fernando si abbassa verso l’arma, prende una busta di plastica con cui ha intenzione di maneggiare il revolver senza toccarlo con le mani, ma non fa in tempo, perché il suono delle sirene della polizia irrompe nell’aria.
Ekon, che era seduto su un secchio rovesciato, si alza in piedi e si guarda attorno come un animale in gabbia.
« Stai calmo Ekon. È tutto a posto…»
Fa Marco cercando di tranquillizzarlo.
Due auto della polizia arrivano sgommando ai margini del campo.
Da una delle volanti viene fuori un uomo in divisa sui sessant’anni, con un megafono in mano. Alessio zuma su di lui.
« Sono il Maresciallo Dente, dobbiamo effettuare una perquisizione, siete pregati di mostrare i docum… – Il maresciallo si inceppa nel momento in cui il suo sguardo intercetta l’obiettivo, come un attore che si accorge di aver sbagliato – … ma che ci sta pure un minore?»
Il Maresciallo si rivolge ai suoi: « Mannaccia a’ maronna… uagliò addio partita, qua la cosa si fa lunga».
Fernando cerca di rassicurare le forze dell’ordine, e urla: « È mio nipote maresciallo, tutto a posto, ora veniamo là…»
Alessio fa un campo medio, riprendendo tutti e sei gli agenti, che all’unisono, improvvisamente, estraggono le pistole. Pan veloce di 90° a destra e il sensore della videocamera di Alessio riprende il braccio tremante di Ekon puntato verso gli agenti. Leggero pan a sinistra seguendo il braccio fino alla mano, che impugna la pistola che fino a pochi secondi prima era nascosta tra le baracche.
« Uè tu, butta quell’arma a terra! Nun fa strunzate!»
Gli urla il maresciallo Dente.
Fernando e Marco hanno alzato le mani istintivamente, senza che nessuno glielo avesse chiesto.
Marco a Ekon: « Ekon… cap ‘e cazz, jetta chillu ferro a terra!»
Poi rivolgendosi al maresciallo e agli agenti: « State calmi marescià, è solo spaventato, non è pericoloso!
« E tu chi cazz sii?»
Gli chiede senza tanti convenevoli il poliziotto in capo.
« Sono un volontario dell’associazione “mai più schiavi” che si occupa di queste persone…»
Dente lo interrompe: « Volonta’, dii a chillu scem di jetta’ a pistola, se no siamo costretti ad aprire il fuoco!»
Marco esegue le istruzioni: « Ekon hai sentito? Butta la pistola!
« Voi mi volete fottere!»
Dice Ekon.
« No sii tu ca’ te staje fottèn da sul».
Replica il maresciallo Dente.
Il crepitio delle ruote sul brecciolino annuncia l’arrivo di una nuova auto. Un’auto civile, lussuosa. Scende un uomo ben vestito sulla quarantina.
« E chill che cazzo ci fa cca? »
Chiede Fernando irritato.
« Zio ma quello non è parente nostro?»
Chiede Alessio.
« Ettore Tancredi è parente vostro?»
Fa Marco a Fernando.
« Purtroppo. Sai perché sta cca?»
« Questo è terreno suo…»
« Ah, mo comincio a capire…»
Anche Ettore, dietro la linea della polizia, si è accorto della presenza del parente.
« Fernà che cazzo staij facenne cca? »
« Lo conosce?»
Chiede Dente con anomalo riguardo.
« È mio cugino.»
Risponde l’imprenditore Ettore Tancredi.
« Di secondo grado! E per nulla contento di portare il suo stesso cognome. Se non ho fatto carriera come giornalista è perché so’ parente a isso».
Urla Fernando.
« Va buò, a me non me ne fotte proprio… ca avimma fa’ co Billy the Kid là? »
Dice il maresciallo Dente ponendo fine alle presentazioni.
Alessio fa un primissimo piano di Ekon, che suda copiosamente e trema.
« Ci sta puntando un’arma contro, sono autorizzato ad aprire il fuoco, questo è l’ultimo avvertimento.»
« Ekon jetta sta cazz e pistola!»
Prova ancora Marco.
Fernando con calma si avvicina a Ekon, porge le mani verso l’arma, con lentezza. Ekon lascia che Fernando afferri la pistola, poi il bracciante scoppia a piangere.
Un unico, corale, sospiro di sollievo si alza sulla baraccopoli.
Due agenti prelevano Ekon che non oppone resistenza.
Fernando, che ha ancora la pistola in mano, si rivolge a Marco per una domanda: « Marco toglimi una curiosità… questa zona rientra nell’ampliamento dell’area industriale, no?»
Marco annuisce.
Un agente chiede a Fernando di consegnare la pistola.
Fernando lo ignora e guarda il nipote: « Ale’ ti fidi di tuo zio?»
« Certo».
Risponde il quattordicenne.
« Stai ancora registrando?»
Alessio fa di sì con la testa.
« Bravo. Mo stai tranquillo…»
Detto questo Fernando strattona a sè il nipote e gli punta la pistola alla tempia.
L’agente che si era avvicinato per recuperare l’arma, alza le mani e si allontana lentamente.
Il Maresciallo Dente esplode di collera e prende a calci la ruota di un’auto della polizia.
« Marescia’ voglio qui la stampa: la collega Ginevra Santini e il video operatore Salvatore De Blasio! »
Ordina Fernando.

Dopo circa 50 minuti il perimetro della baraccopoli è affollato di agenti, curiosi e giornalisti, ma solo Ginevra Santini e Salvatore de Blasio hanno l’autorizzazione a stare a meno di duecento di metri da Fernando e il nipote.
Urla strazianti si sollevano da un punto del cordone: è arrivata Assunta Tancredi, la mamma di Alessio e sorella di Fernando.
« Lasciatemi! Lasciatemi! L’aggia accitere co le mani mie a quella chiavica d’uomo! Il nipote… il nipote! Avete capito? Il sangue del suo sangue!»
Alessio, divertito, riprende la sfuriata della madre.
« Per colpa di chillo là – Fernando indica Ettore – … la mia vita è stata un inferno. Da piccirillo all’età adulta, passando per l’università e le varie testate in cui ho provato a lavorare, per tutti ero uno dei Tancredi. I re della pummarola, quelli troppo gruossi pe’ esse puliti, gli ‘mbruglioni, gli intrallazzatori, ma soprattutto gli sfruttatori… però furbi eh… non si sono mai fatti fottere, ma mo ci penso io…»
Dente:
« Tancre’ ci hai scassato e’ ‘recchie cu tutte sti parole, fammi capì: tutt ‘stu burdell per una questione personale tra te e isso?
Fernando: « È sempre una questione personale marescià; perché la vita è una questione personale.»
« Eh, ci mancava la filosofia ci mancava… tinimm a Luciano De Crescenzo a cca…»
Dice esasperato il maresciallo.
Fernando continua: « Marescià mi dica: voi state qua perché avete avuto una chiamata anonima? V’hanno detto che alla baraccopoli dei braccianti ci stavano delle armi. Non è così?»
« Non sono autorizzato a rispondere».
« Mi ha già risposto Marescia’. Mo voglio che Ettore s’avvicina, che vene a ccà, e io lascio andare lu guaglione…»
« Non sei più nella posizione di dettare condizioni Tancre’… il tempo è finito».
Ma Ettore Tancredi si sta già avviando verso il centro della baraccopoli.
Il maresciallo Dente sbatte con rabbia le mani sul tettuccio della volante.
Ettore arriva a circa dieci metri da Fernando.
Fernando molla la presa di Alessio, e punta la pistola su Ettore.
« Ora va’ piccere’, ma continua a riprendere».
Detto questo Fernando alza la voce per farsi sentire anche dall’amico Salvatore: « Pure tu Salvato’, riprendi tutto».
Alzando ancora di più la voce per farsi sentire da tutti: « Questa pistola che ho in mano l’ha fatta nascondere qui Ettore Tancredi – Ettore fa un ghigno di sprezzo – Gli serviva che il terreno fosse sgomberato».
« Il terreno è mio Fernà, se volevo lo facevo sgomberare quando volevo e legalmente».
Obietta Ettore.
« E non lo hai mai fatto… perché la tua azienda agricola sta a 5 minuti a piedi da qui, e ti faceva comodo che i braccianti fossero vicini. Ma ieri è passato il nuovo piano regolatore e questo terreno mo vale oro. Certo potevi fare richiesta di sgombero ma sarebbero passate settimane, se non mesi. Ma tu sai che in caso di armi e droga le autorità possono intervenire subito».
« Chiste so’ fantasie Ferna’, non le puoi provare».
« Non le posso provare? E mo vediamo…»
Fernando arma il cane del revolver. « Tre… due… uno… »
Fernando preme il grilletto.
Il colpo va a vuoto, e produce solo un clic metallico. Poco prima tutti si sono istintivamente abbassati, come se il colpo fosse stato diretto a loro. Qualcuno ha strillato.
« Marescià avete visto?»
Dente si è appogiato alla volante, con una mano sul cuore.
« Vi siete tutti cacati addosso – continua Fernando, – tutti tranne Ettore, perché sapeva che la pistola era scarica».
Brusio generale. A Salvatore scappa un “‘azz” che viene captato dal microfono ambientale della sua attrezzatura.
Ancora Fernando: « Perché se qualcuno si faceva male, se ci scappava il morto, qua mettevano tutto sotto sequestro; e tra indagini, controindagini e perezie, chissà quando poteva vendere…»
« Tancre’ fammi capire bene: la pistola è proprio scarica scarica?
Chiede il maresciallo. Fernando, senza distogliere lo sguardo dagli occhi di Ettore, allarga le braccia facendo cadere il revolver a terra.
« Intervenite! Mannaccia ‘a maronna!»
Gli agenti si avventano in massa su Fernando, che viene fatto inginocchiare e gli vengono ammanettate le mani dietro la schiena, ma il suo sguardo è colmo di soddisfazione. Mentre Ettore, immobile, ribolle di odio.

Pochi concitati secondi dopo, Ettore Tancredi ritorna alla sua auto, braccato dalle domande della cronista Ginevra Santini: « Perché non ha mai chiesto lo sgombero del terreno?»
« Non intendo rispondere».
« Lavorano per le sue aziende i braccianti che vivono qui?»
« Non intendo rispondere, mi faccia andare via».
« Ha davvero intenzione di vendere questo terreno?»
Intanto Fernando viene portato in manette nell’auto della polizia. Salvatore lo segue con la videocamera in mano, anche se gli agenti tentano di tenerlo a distanza.
« Salvato’… Salvato’…»
Chiama Fernando.
« Sto qua Ferna’…»
Gli risponde l’amico da dietro la camera.
« Aiuta lu guaglione a montare il servizio…»
« Contaci Ferna’…»
L’auto della polizia con su Fernando sgomma via.
E proprio nel momento in cui la volante viene inghiottita dalla nuvola di polvere che essa stessa ha generato, la videocamera di Alessio si spegne e si congeda all’utilizzatore con un “batteria scarica”.

Un anno dopo:
Fernando è stato denunciato a piede libero e continua a lavorare come freelance. Ha comprato un nuovo paio di calzini da Adebayo.
Alessio ha vinto un premio dedicato ai giovani documentaristi. Ogni tanto incontra lo zio di nascosto, perché la madre glielo ha proibito.
Ettore è ancora un imprenditore di successo ma non è mai riuscito a vendere quel terreno.
Il Maresciallo Dente è andato in pensione sei mesi dopo i fatti della baraccopoli. È morto d’infarto guardando la sua prima partita del Napoli da pensionato.
Di Ekon, e di tanti come lui, purtroppo, non si sa nulla.

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